lunedì 23 agosto 2010

Makkox



Mi dispiace, non riesco a fare in modo che questa immagine si possa ingrandire, ma ciò che dice è:

«Giusto per ipotesi però “Amore” potrebbe essere lasciar andare, e attendere, senza dubbi. Attendere anche dieci anni, e dopo dieci anni, anche solo a un “Ho bisogno di te” sussurrato al telefono, rispondere “Sì”» (Mimì)

Canemucco N. 2 – Giugno 2010.

Marco Makkox Dambrosio, lo trovate qui

http://www.canemucco.com

e qui

http://www.canemucca.com

(spero di non aver violato alcuna regola riguardo i diritti d'autore)

lunedì 16 agosto 2010

Wonderful Life

What a Wonderful World

KARMACOMA

Come Talk To Me

ONCE IN A LIFETIME

EVENTO STRAORDINARIO

Oggi sarò per tutto il giorno l'unico abitante del pianeta sul quale lavoro. (è questo l'evento straordinario, accontentiamoci...)
E quindi lo stò facendo con sottofondi musicali, dopo aver corso lungo i corridoi deserti. Tra un'elaborazione al pc e l'altra cercherò di passarvi qualche brano. Intanto un buongiorno!

Ah! Se venite a trovarmi la smetto di ballare da solo sulle scrivanie e vi offro un caffè dal distributore automatico!

mercoledì 21 luglio 2010

COLPA DELL'ETA'? 1

Sarà mica l'avvcinarsi dei cinquant'anni che mi fa provare simpatia per Baglioni? Mah...

COLPA DELL'ETA'? 2

Pò esse...

martedì 13 luglio 2010

ATTESE 1




Sono andato a comprarmi una busta di passato di verdura congelato per cena.
E poi sono stato fermo al passaggio a livello per venti minuti. Per tutto il tempo ho ascolato ripetutamente One Time, facendo tornare indietro il nastro ogni volta. Faceva molto caldo.


one eye goes laughing,
one eye goes crying
through the trials and trying of one life
one hand is tied,
one step gets behind
in one breath we're dying

i've been waiting for the sun to come up
waiting for the showers to stop
waiting for the penny to drop
one time
and i've been standing in a cloud of plans
standing on the shifting sands
hoping for an open hand
one time


Quando sono arrivato a casa il passato di verdura era quasi pronto per essere tracannato.

venerdì 9 luglio 2010

Epicuro - Lettera sulla felicità

Meneceo,

Non si è mai troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell'anima. Chi sostiene che non è ancora giunto il momento di dedicarsi alla conoscenza di essa, o che ormai è troppo tardi, è come se andasse dicendo che non è ancora il momento di essere felice, o che ormai è passata l'età. Da giovani come da vecchi è giusto che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità. Per sentirci sempre giovani quando saremo avanti con gli anni in virtù del grato ricordo della felicità avuta in passato, e da giovani, irrobustiti in essa, per prepararci a non temere l'avvenire. Cerchiamo di conoscere allora le cose che fanno la felicità, perché quando essa c'è tutto abbiamo, altrimenti tutto facciamo per averla.

Pratica e medita le cose che ti ho sempre raccomandato: sono fondamentali per una vita felice. Prima di tutto considera l'essenza del divino materia eterna e felice, come rettamente suggerisce la nozione di divinità che ci è innata. Non attribuire alla divinità niente che sia diverso dal sempre vivente o contrario a tutto ciò che è felice, vedi sempre in essa lo stato eterno congiunto alla felicità. Gli dei esistono, è evidente a tutti, ma non sono come crede la gente comune, la quale è portata a tradire sempre la nozione innata che ne ha. Perciò non è irreligioso chi rifiuta la religione popolare, ma colui che i giudizi del popolo attribuisce alla divinità.

Tali giudizi, che non ascoltano le nozioni ancestrali, innate, sono opinioni false. A seconda di come si pensa che gli dei siano, possono venire da loro le più grandi sofferenze come i beni più splendidi. Ma noi sappiamo che essi sono perfettamente felici, riconoscono i loro simili, e chi non è tale lo considerano estraneo. Poi abituati a pensare che la morte non costituisce nulla per noi, dal momento che il godere e il soffrire sono entrambi nel sentire, e la morte altro non è che la sua assenza. L'esatta coscienza che la morte non significa nulla per noi rende godibile la mortalità della vita, togliendo l'ingannevole desiderio dell'immortalità.

Non esiste nulla di terribile nella vita per chi davvero sappia che nulla c'è da temere nel non vivere più. Perciò è sciocco chi sostiene di aver paura della morte, non tanto perché il suo arrivo lo farà soffrire, ma in quanto l'affligge la sua continua attesa. Ciò che una volta presente non ci turba, stoltamente atteso ci fa impazzire. La morte, il più atroce dunque di tutti i mali, non esiste per noi. Quando noi viviamo la morte non c'è, quando c'è lei non ci siamo noi. Non è nulla né per i vivi né per i morti. Per i vivi non c'è, i morti non sono più. Invece la gente ora fugge la morte come il peggior male, ora la invoca come requie ai mali che vive.

Il vero saggio, come non gli dispiace vivere, così non teme di non vivere più. La vita per lui non è un male, né è un male il non vivere. Ma come dei cibi sceglie i migliori, non la quantità, così non il tempo più lungo si gode, ma il più dolce. Chi ammonisce poi il giovane a vivere bene e il vecchio a ben morire è stolto non solo per la dolcezza che c'è sempre nella vita, anche da vecchi, ma perché una sola è l'arte del ben vivere e del ben morire. Ancora peggio chi va dicendo: bello non essere mai nato, ma, nato, al più presto varcare la porta dell' Ade.

Se è così convinto perché non se ne va da questo mondo? Nessuno glielo vieta se è veramente il suo desiderio. Invece se lo dice così per dire fa meglio a cambiare argomento. Ricordiamoci poi che il futuro non è del tutto nostro, ma neanche del tutto non nostro. Solo così possiamo non aspettarci che assolutamente s'avveri, né allo stesso modo disperare del contrario. Così pure teniamo presente che per quanto riguarda i desideri, solo alcuni sono naturali, altri sono inutili, e fra i naturali solo alcuni quelli proprio necessari, altri naturali soltanto. Ma fra i necessari certi sono fondamentali per la felicità, altri per il benessere fisico, altri per la stessa vita.

Una ferma conoscenza dei desideri fa ricondurre ogni scelta o rifiuto al benessere del corpo e alla perfetta serenità dell'animo, perché questo è il compito della vita felice, a questo noi indirizziamo ogni nostra azione, al fine di allontanarci dalla sofferenza e dall'ansia. Una volta raggiunto questo stato ogni bufera interna cessa, perché il nostro organismo vitale non è più bisognoso di alcuna cosa, altro non deve cercare per il bene dell'animo e del corpo. Infatti proviamo bisogno del piacere quando soffriamo per la mancanza di esso. Quando invece non soffriamo non ne abbiamo bisogno.

Per questo noi riteniamo il piacere principio e fine della vita felice, perché lo abbiamo riconosciuto bene primo e a noi congenito. Ad esso ci ispiriamo per ogni atto di scelta o di rifiuto, e scegliamo ogni bene in base al sentimento del piacere e del dolore. E' bene primario e naturale per noi, per questo non scegliamo ogni piacere. Talvolta conviene tralasciarne alcuni da cui può venirci più male che bene, e giudicare alcune sofferenze preferibili ai piaceri stessi se un piacere più grande possiamo provare dopo averle sopportate a lungo. Ogni piacere dunque è bene per sua intima natura, ma noi non li scegliamo tutti. Allo stesso modo ogni dolore è male, ma non tutti sono sempre da fuggire.

Bisogna giudicare gli uni e gli altri in base alla considerazione degli utili e dei danni. Certe volte sperimentiamo che il bene si rivela per noi un male, invece il male un bene. Consideriamo inoltre una gran cosa l'indipendenza dai bisogni non perché sempre ci si debba accontentare del poco, ma per godere anche di questo poco se ci capita di non avere molto, convinti come siamo che l'abbondanza si gode con più dolcezza se meno da essa dipendiamo. In fondo ciò che veramente serve non è difficile a trovarsi, l'inutile è difficile.

I sapori semplici danno lo stesso piacere dei più raffinati, l'acqua e un pezzo di pane fanno il piacere più pieno a chi ne manca. Saper vivere di poco non solo porta salute e ci fa privi d'apprensione verso i bisogni della vita ma anche, quando ad intervalli ci capita di menare un'esistenza ricca, ci fa apprezzare meglio questa condizione e indifferenti verso gli scherzi della sorte. Quando dunque diciamo che il bene è il piacere, non intendiamo il semplice piacere dei goderecci, come credono coloro che ignorano il nostro pensiero, o lo avversano, o lo interpretano male, ma quanto aiuta il corpo a non soffrire e l'animo a essere sereno.

Perché non sono di per se stessi i banchetti, le feste, il godersi fanciulli e donne, i buoni pesci e tutto quanto può offrire una ricca tavola che fanno la dolcezza della vita felice, ma il lucido esame delle cause di ogni scelta o rifiuto, al fine di respingere i falsi condizionamenti che sono per l'animo causa di immensa sofferenza. Di tutto questo, principio e bene supremo è la saggezza , perciò questa è anche più apprezzabile della stessa filosofia, è madre di tutte le altre virtù. Essa ci aiuta a comprendere che non si dà vita felice senza che sia saggia, bella e giusta, né vita saggia, bella e giusta priva di felicità, perché le virtù sono connaturate alla felicità e da questa inseparabili.

Chi suscita più ammirazione di colui che ha un'opinione corretta e reverente riguardo agli dei, nessun timore della morte, chiara coscienza del senso della natura, che tutti i beni che realmente servono sono facilmente procacciabili, che i mali se affliggono duramente affliggono per poco, altrimenti se lo fanno a lungo vuol dire che si possono sopportare ? Questo genere d'uomo sa anche che è vana opinione credere il fato padrone di tutto, come fanno alcuni, perché le cose accadono o per necessità, o per arbitrio della fortuna, o per arbitrio nostro. La necessità è irresponsabile, la fortuna instabile, invece il nostro arbitrio è libero, per questo può meritarsi biasimo o lode.

Piuttosto che essere schiavi del destino dei fisici, era meglio allora credere ai racconti degli dei, che almeno offrono la speranza di placarli con le preghiere, invece dell'atroce, inflessibile necessità. La fortuna per il saggio non è una divinità come per la massa - la divinità non fa nulla a caso - e neppure qualcosa priva di consistenza. Non crede che essa dia agli uomini alcun bene o male determinante per la vita felice, ma sa che può offrire l'avvio a grandi beni o mali.

Però è meglio essere senza fortuna ma saggi che fortunati e stolti, e nella pratica è preferibile che un bel progetto non vada in porto piuttosto che abbia successo un progetto dissennato. Medita giorno e notte tutte queste cose e altre congeneri, con te stesso e con chi ti è simile, e mai sarai preda dell'ansia. Vivrai invece come un dio fra gli uomini. Non sembra più nemmeno mortale l'uomo che vive fra beni immortali.


Buon fine settimana, miei cari.

venerdì 25 giugno 2010

MORETTI

Salgo in macchina, è caldissimo, apro i finestrini, accendo una sigaretta, metto gli occhiali e parto. All’improvviso ne sento sapore e profumo. Cioccolata. Non sono dipendente dalla cioccolata, ma ogni tanto mi necessita. In genere d’inverno prima di andare a letto. Difficilmente all’una di una giornata che sfiora i trenta gradi. Ma oggi questo è.
Mi fermo al bar tabaccheria dove di solito compro le sigarette.
- Ciao, hai una tavoletta di cioccolata, per cortesia?
- No, mi dispiace, in estate non le teniamo, si sciolgono.
- Ma non te n’è rimasta neanche una?
- No, mi dispiace.
Silenzio. Lo guardo, mi guarda. La mia espressione è di grande delusione mista a rabbia e panico. Mi viene in mente una scena di un film di Moretti dove lui dice ai suoi studenti “Ma non avete pietà di me?” La mia faccia credo esprima quella situazione. Cerco di darmi un contegno. Non voglio la sua pietà, voglio una tavoletta di cioccolata.
- Nel frigo dei gelati ho dei moretti. Sono ricoperti di cioccolata.
Dunque, i moretti non esistono più, per lo meno non si chiamano più così. O questo è telepatico e mi prende in giro, oppure ha capito quanti anni ho e, facendo due conti, ha pensato che da bambino mangiassi moretti. Lo guardo in silenzio. Qualcuno alle mie spalle fa tintinnare la moneta che ha in mano. Penso. I moretti non mi sono mai piaciuti, la cioccolata che ricopre i gelati è pessima. Quando da piccolo mangiavo i moretti davo la cioccolata a mio fratello, ché a lui i moretti piacevano assai. Qualcun’altro alle mie spalle tossisce. Comincio a sudare abbondantemente.
- Non hai nemmeno una scatola di cioccolatini?
- No, mi dispiace. In estate anche i cioccolatini si sciolgono.
Dal fondo della fila che si è formata dietro di me sale una voce di donna.
- Guardi che i moretti sono molto buoni! E poi, con questo, caldo un gelato può benissimo sostituire il pasto!
Lui getta un’occhiata alla gente in fila che rumoreggia sommessamente, poi mi guarda.
- Allora, ti do’ un moretto?
- No, guarda …
Penso. Il gelato al latte mi provoca la colite. Mi giro, guardo la gente in fila. Ora è una bestiolina multiocchi che trattiene il respiro, mi fissa e spera nel lieto fine.
- … dammene cinque.
Esco con i moretti chiusi in un sacchettino di carta bianca. Mi siedo sui gradini antistanti la cartoleria, chiusa per pausa. Il grosso cane nero della farmacista mi riconosce e s’avvicina ciondolando ed ansimando per il caldo. E’ molto vecchio e molto peloso. Si acquatta davanti a me con il muso appoggiato sulle zampe. Mentre scarto il primo moretto ha un guizzo di vita, si siede dritto, apre la bocca e mi fissa. Quando mangiavo i moretti con mio fratello, staccavo la cioccolata a pezzi grossi il più possibile e gliela davo. Ora la do’ al cagnone che se la mangia con evidente piacere. Dentro il sacchetto, in terra tra il cane e me, ci butto i legnetti e le carte ed uno dopo l’altro li finiamo. Come facevo da bambino, l’ultimo legnetto lo tengo in bocca per schiacciarlo un po’ con i denti. Il cagnone infila il muso dentro al sacchetto e fiuta, cercando altra cioccolata. Se ne esce con un legnetto tra i denti. Ci guardiamo.
Fra qualche ora, probabilmente, entrambi avremo un attacco di colite.

domenica 13 giugno 2010

VADO A COMPRARE LE SIGARETTE

Mi sono alzato da letto alle 15.00. Mi ero coricato alle tre di stanotte. Ma non ho dormito dodici ore di fila. Il mio gatto guardiano è venuto più volte a svegliarmi. Ho fatto sogni di presenze e mancanze reali e devo essermi lamentato più volte durante il sonno, come spesso mi succede. Così, veniva a svegliarmi. Ma anche per fame, probabilmente. Ho fatto pipì e ho aperto tutte le finestre. Cielo che prometteva pioggia e vento forte, che ha riempito la casa col profumo dei glicini. Altro tuffo nelle mancanze. Rincoglionito, ho fatto colazione con un gelato e una gollata di cocacola, direttamente dalla bottiglia come fosse una fiaschetta di wisky. La corrente d'aria faceva volare tutti i miei appunti appoggiatti sul tavolo. Voevo rimettermi subito a scrivere ma mi sono ricordato di aver finito le sigarette stanotte. Mi sono lavato la faccia e ho indossato qualcosa a caso. Non mi sono rasato e non messo nemmeno le mutande, tanto dovevo andare solo al distributore automatico del bar chiuso la domenica. "Vado acomprare le sigarette." ho detto al gatto seduto sul davanzale che fiutava l'aria. Si è girato a guardarmi inebriato. Sono uscito in ciabatte e senza essermi pettinato. Il distributore era fuori servizio, la trattoria che le vende era chiusa, forse definitivamente. Ma io, che in questo paese ci dormo e basta, non lo sapevo. Mi è toccato andare al bar dell'albergo che stà sulla statale, che ha pretese di essere un quattro stelle. E forse a ragione, ma non m'interessa un gran ché. Fuori, seduti ad un tavolino, ragazzotti e ragazzette con vestiti alla moda e sguardi un pò vuoti. Cado nelle generalizzazioni prive di senso. Ma, probabilmente, un pò di senso ce l'hanno. Sono entrato, seguito da un ragazzo che forse pensava volessi importunare la barista. "Buongiorno. Un pacchetto di lucky strike, per favore." "Ciao!" mi dice la barista sorridendo, come se mi conoscesse da tempo, ma giuro che non l'avevo mai vista. Quello, che le si era messo vicino, mi guarda senza esprimere nulla. Pago. "Grazie. Ciao!" Faccio un giro nella campagna circostante. Mi piace guidare, soprattutto quando per strada non c'è nessuno. Guido e fumo. Penso a che punto del racconto ero rimasto. Punto morto. Rientrando ho parcheggiato la macchina fuori, se piove si lava. Ho trovato il gatto che rincorreva un pallina e saltava come un canguro. La frase "Vado a comprare le sigarette" non doveva essergli suonata sinistra, evidentemente.
Abbiamo mangiato un pò di sgombro, lui sul davanzale nel piattino, io direttamente dalla scatola, metà per uno. Lui non apprezza molto lo sgombro. Gli ho spiegato che sarrebbe stato un bene che lo mangiasse, perché contiene gli omega 3. Mi ha accontenato.
Ho pensato a simbolic che oggi si sarebbe visto Stalker ed io credevo che avrei fatto altrettanto, una volta in più, che non fà mai male. Ma non è giornata. Credo che rivedrò Bagdad Cafè. Ma dopo, mi è venuta un'idea e torno ascrivere.